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Mentre l’ abuso di alcol è una piaga mondiale, diversi studi convalidano l’ idea che il consumo moderato faccia bene. Ma quanto «moderato»? Ora, gli esperti internazionali denunciano l’ ambiguità di questo messaggio, che promuove gli eccessi. Secondo l’ Istat ogni anno in Italia 40mila persone muoiono per patologie dovute all’ abuso di alcol e un milione sono alcolisti cronici.

Bere nuoce gravemente alla salute, esattamente come fumare. E come non c’ è pietà per le sigarette leggere, non c’ è dose moderata di alcol che tenga. Vino e superalcolici sono dannosi quanto la nicotina e il catrame che si liberano dal mozzicone acceso. Con questo messaggio forte l’ Organizzazione Mondiale della Sanità annuncia dalle pagine della rivista Nature una campagna di sensibilizzazione sui danni dell’ alcol intensa quanto quella combattuta di recente contro le sigarette. Il documento, appena elaborato da una commissione di esperti, sarà al centro del meeting annuale dell’ Oms che si terrà a Ginevra in maggio: ne dovrebbero scaturire linee di azione rivolte ai governi, all’ industria del settore (floridissima, nel mondo si producono ogni anno 267 milioni di elettolitri di vino), ai media, al pubblico. Ma l’ allarme è giustificato? Lo è in particolare in Italia, secondo produttore di vino nel mondo, ma anche Paese con un tasso di alcolismo tutto sommato modesto? Vuoi un bicchierino? Domanda lecita, anzi, cortesia d’ obbligo nella nostra cultura. Nessuno pensa di mettere a repentaglio la salute altrui con un’ offerta del genere. Ma il terreno della cortesia diventa scivoloso se si ragiona in termini di tasso alcolico: il drink in Italia corrisponde a 12 grammi di alcol, in Gran Bretagna a 8, negli Stati Uniti a 14, in Giappone a oltre 19. Paese che vai etanolo che trovi, insomma. Una variabilità che fa capire la pericolosa approssimazione di quel «il vino fa buon sangue» che recitava un vecchio proverbio. Secondo l’ Organizzazione Mondiale della Sanità l’ insidia per la salute sta proprio nell’ ambiguità dell’ invito alla moderazione che, impreciso in termini di dosi, finisce per enfatizzare i lati positivi dell’ alcol allontanando l’ idea del danno. Le prove a favore Qualche anno fa un programma televisivo americano, Sessanta Minuti, dedicò alcune puntate ai benefici di un consumo moderato di alcolici; nel mese successivo le vendite di vino aumentarono del 40% in tutti gli Stati Uniti. Ma da dove è scaturita l’ idea dell’ effetto benefico del vino a piccole dosi? Una base scientifica c’ è, in realtà. Le ricerche hanno dimostrato che per gli uomini dai 45 anni in su e per le donne oltre i cinquanta, bere due o tre bicchieri di vino al giorno (circa 30 grammi di etanolo) riduce il rischio di infarto del 20-30%. Il perché non è ancora chiaro: alcuni studi hanno messo in evidenza la capacità del vino di alzare il colesterolo “buono”, altre l’ azione dilatante sulle arterie. I danni certi «Che bere faccia bene alla persone giovani è tutto da dimostrare; è certo, invece, che l’ alcol aumenta il rischio di incidenti alla guida, ha un effetto tossico diretto sul fegato, è coinvolto nella comparsa di diversi tumori, altera i processi di memorizzazione» sottolinea il Report dell’ Oms. Gli effetti cancerogeni dell’ alcol, pur ben documentati sulla laringe, l’ esofago, il fegato, il seno e il colon, sono rimasti nell’ ombra da quando si è scoperto che nella buccia dell’ uva nera (quindi, nel vino rosso) è presente il resveratrolo. La rivista Science nel 1997 ne ha “consacrato” l’ azione antitumorale, ma lo studio era sul topo; per l’ uomo il beneficio è per ora ipotetico. Ciononostante questa notizia, come altre, ha contribuito ad alimentare la certezza che il vino sia salutare. Mica tanto: solo in Italia 40.000 persone muoiono ogni anno in seguito a malattie dovute all’ abuso di alcol, compresi gli incidenti stradali, e un milione sono alcolisti cronici (dati Istat). Il Report dell’ Oms, mentre sottolinea il fallimento del messaggio «bere poco fa bene», chiede misure forti per limitare il consumo: ridurre la pubblicità degli alcolici e alzarne il prezzo, come si è fatto con le sigarette. Che il costo della bottiglia abbia il suo peso è dimostrato da ricerche condotte in Inghilterra e da quanto avvenne in Russia nel 1985 quando Mikhail Gorbaciov dichiarò guerra alla produzione illegale di alcolici: il numero di decessi correlati all’ abuso nei cinque anni successivi calò dell’ 11%. Da noi la legge quadro sull’ alcol del marzo 2001 ha proibito la vendita di superalcolici in autostrada dalla 22 alle 6 del mattino e la pubblicità radiotelevisiva nella fascia oraria 16-19. Una campagna “forte” Ma quella che ora invoca l’ Oms è una guerra al vino, destinata ad incontrare la granitica resistenza di un’ industria più che fiorente. «Le campagne di penalizzazione di certi costumi in nome della salute mi lasciano perplessa – commenta Nerina Dirindin, docente di economia sanitaria all’ Università di Torino – perché finiscono, come è successo col fumo, per colpevolizzare il singolo. Un braccio di ferro con l’ industria non è possibile; bisogna piuttosto lavorare d’ intesa con quest’ ultima per promuovere una campagna d’ informazione precisa sul consumo moderato. I limiti oltre i quali si mette a rischio la salute non sono chiari? Vediamo di chiarirli». La consapevolezza Ma può esserci davvero un ruolo dell’ industria nella prevenzione? «Credo di sì – risponde Riccardo Gatti, Direttore del Dipartimento per le dipendenze dell’ Asl di Milano -. Oggi in ambito commerciale si comincia ad essere consapevoli che il mercato dello “sballo” e dell’ alterazione mentale non paga. Chi si ubriaca provoca danni a sè e agli altri, non è un buon testimonial dei prodotti che usa. L’ industria si sta accorgendo che i clienti sono una risorsa fondamentale del mercato e lo sono ancora di più se si conservano in buona salute». Sarà questa new economy della consapevolezza il punto d’ incontro fra gli intenti dell’ Oms e gli interessi dell’ industria? Il paradosso francese Dove il “rosso” fa buon sangue Uno dei fenomeni che più ha contribuito al messaggio bere con moderazione fa bene, è il cosiddetto “paradosso francese”. Tutto cominciò negli anni Ottanta dalla scoperta che fra i francesi, grandi consumatori di grassi animali (burro anzitutto), la mortalità per malattie di cuore era sensibilmente più bassa rispetto agli abitanti degli altri Paesi europei e degli Stati Uniti. La chiave di lettura di questa apparente contraddizione fu individuata nell’ elevato consumo di vino rosso; cominciò così la corsa a scoprire quale magico fattore terapeutico si nascondesse nel calice del Bordeaux. Tante le sostanze individuate: flavonoidi e tannini con il loro benefico effetto antiossidante, fino al resveratrolo, che oltre a proteggere dai tumori, svolgerebbe una marcata azione a favore del colesterolo “buono”, capace di tenere pulite le arterie. Uno studio recente ha rivelato che i polifenoli contenuti nell’ estratto di vino rosso bloccano, addirittura, la produzione di endotelina-1, un potente vasocostrittore. La questione non è ancora risolta, comunque: il ruolo centrale del vino nella salute dei francesi è contestato da altri ricercatori che sostengono l’ origine genetica di questa parziale immunità alle malattie cardiache.

Porciani Franca

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